Abbiamo già avuto occasione in precedenza di scrivere su questo argomento importante e quindi ci ritorniamo. Riportiamo alcune considerazioni emerse nel corso del primo di una serie di incontri organizzati da Ledha (Lega per i diritti delle persone con disabilità) sul tema della presa in carico della persona disabile. In questo incontro, al quale anche l’associazione Il Gabbiano era presente , si è parlato della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Questo documento, firmato anche dall’Italia nel marzo 2007 a New York, mira a impegnare la comunità internazionale perché sia garantito anche alla persona disabile il pieno godimento di tutti i diritti umani e sia praticato il principio di uguaglianza delle opportunità. Perché i diritti umani restino diritti e non diventino invece privilegi, essi devono valere per tutti, sia per chi ne è consapevole, sia per chi non lo è, e devono ovviamente valere anche per le persone con disabilità. Ma cos’è la disabilità? La Convenzione ONU ne dà una definizione che fa riflettere: essa è un concetto in evoluzione, “il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società sulla base di eguaglianza con gli altri”. La disabilità non è quindi una qualità della persona. Poniamo il caso di un individuo che non abbia l’uso delle gambe. La disabilità non è data dalla menomazione in sé, ma dal fatto che la persona incontri nella sua vita quotidiana delle barriere (architettoniche e non) che gli impediscono di spostarsi per la città, lavorare, avere una vita di relazione ecc. Se questa persona viene invece messa nelle condizioni di una piena partecipazione alla società, essa cessa di essere disabile. In questa ottica non è la società ad avere un problema: è la società stessa ad essere un problema: è la società stessa ad essere un problema per la persona con disabiilità.
La Convenzione ONU chiarisce che è quindi preciso compito della società “promuovere, proteggere ed assicurare il pieno godimento diritto di tutti i diritti umani e le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità e favorire il rispetto della loro intrinseca dignità”.
Ne consegue che “ogni forma di distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di compromettere
o annullare il godimento, allo stesso livello degli altri, di tutti i diritti umani e le libertà fondamentali nel settore politico, economico, sociale, culturale, civile e in ogni altro ambito” è una discriminazione. Ogni trattamento differenziato della persona con disabilità senza una giustificazione è quindi una discriminazione. E ogni discriminazione è una violazione dei diritti umani. La Convenzione indica chiaramente che la discriminazione include anche il rifiuto di apportare “accomodamenti ragionevoli”, cioè quelle modifiche o adattamenti che non impongono un onere sproporzionato o eccessivo, ma che consentirebbero l’esercizio da parte della persona dei propri diritti. Se interventi grossi, complessi e costosi richiedono purtroppo tempi lunghi, è altrettanto vero che la vita delle persone disabili potrebbe già incominciare a migliorare grazie a piccoli possibili accorgimenti che spesso non vengono adottati solo per ignoranza, incuranza o scarsa sensibilità.
La strada che porta al pieno godimento dei diritti umani da parte delle persone disabili è sicuramente ancora lunga e in salita, ma quello che la Convenzione sottolinea è che questa battaglia non è una possibilità, ma un dovere della società nel suo complesso, e di ciascuno di noi.
(Federica Calza)